La domanda, periodicamente, ritorna: le protesi mammarie utilizzate per la mastoplastica additiva e per la ricostruzione mammaria sono pericolose? Cioè, in parole ancora più semplici, è vero che le protesi mammarie possono far venire il cancro? Il dubbio è tale da togliere il sonno a chi le protesi le ha e a chi sta prendendo in considerazione una mastoplastica additiva, o un intervento di ricostruzione mammaria impiegando questi dispositivi. Le protesi mammarie, infatti, vengono utilizzate sia a scopo estetico sia a scopo ricostruttivo. E, ogni anno, nel nostro Paese si stima che ne vengano impiantate 53.000 (dati del Ministero della Salute, periodo 2011-2020). Ma veniamo alla risposta, una risposta che tiene conto dei dati ufficiali e degli studi realizzati in tutto il mondo sull’argomento.

In base ai dati raccolti dal Ministero della Salute, nel 2020 l’incidenza di BIA – ALCL (Breast Implant Associated – Anaplastic Large Cell Lymphoma), il linfoma anaplastico a grandi cellule correlato alle protesi mammarie – è stata di 4,6 casi su 100.000 pazienti impiantate. In percentuale, la malattia è insorta nello 0,0046 % dei casi. Si conferma, quindi, il quadro di una malattia estremamente rara, con un tasso di incidenza veramente basso. Detto tutto questo, è importante non trascurare eventuali cambiamenti che si dovessero manifestare a distanza di alcuni anni dall’impianto delle protesi. Se il BIA – ALCL viene diagnosticato in un tempo ragionevole, infatti, è sufficiente rimuovere le protesi e la capsula che le avvolge, senza la necessità per la paziente di sottoporsi a cure e trattamenti. Quali sono i “campanelli d’allarme”? La comparsa del cosiddetto sieroma tardivo, cioè di un rigonfiamento ben visibile che in media appare, ma come abbiamo detto i casi sono pochissimi, 7 anni dopo l’intervento. Chi nota questo cambiamento deve rivolgersi al chirurgo plastico che ha eseguito l’intervento, che dopo una visita eventualmente prescriverà ulteriori accertamenti.