Siamo abituati a considerare il grasso come uno dei primi nemici dell’estetica, ma il grasso è anche utile e prezioso. Lo è, ad esempio, nella mastoplastica additiva secondaria, “bis” a cui si ricorre quando il primo intervento di aumento del seno con protesi non ha dato un risultato perfetto. Una delle conseguenze sgradevoli di una mastoplastica additiva eseguita non a regola d’arte può essere il bordo superiore della protesi che risulta visibile. In pratica, si vede un “gradino” nella parte alta del seno, un dettaglio che denuncia la presenza del dispositivo e pertanto rende meno naturale il risultato. In questi casi, appunto, il grasso ci dà una mano. Con la tecnica del lipofilling (ne abbiamo parlato anche qui), si preleva dall’addome, dai fianchi o dalle cosce della paziente una piccola quantità di grasso, che dopo un breve trattamento in sala operatoria viene trasferito con aghi e cannule nel punto in cui si vede il “salto”, con il risultato di mascherare la protesi. Un’altra tipica situazione in cui il lipofilling entra in campo nella mastoplastica secondaria è quando i tessuti del seno, soprattutto nella parte inferiore esterna, hanno un aspetto non omogeneo e presentano una sorta di ondulazione. Anche in questo caso, il grasso prelevato dalla paziente stessa e trasferito dove si manifesta l’imperfezione è utile per colmare i profili irregolari, rendendo le forme più naturali e più armoniose.

Tra i vantaggi del ricorso al grasso c’è poi quello fondamentale di un tessuto completamente naturale, che non dà luogo a sensibilizzazioni o allergie. Attenzione invece al fatto che una parte del grasso trasferito viene fisiologicamente metabolizzato dall’organismo e pertanto scompare. A seconda del casi, in questo modo si perde tra il 30 e il 60%, una percentuale che non è possibile conoscere a priori. Proprio per questo, in alcuni casi può essere necessario ripetere almeno in parte il mini-intervento.